Geografia della memoria

In “Geografie della memoria”, del 1985, viene descritta una catastrofe attraverso il degrado urbano e le rovine che costruiscono un itinerario alternativo e allucinante. Si utilizza il colore, di cui si fa sempre un uso preciso e mai decorativo, spesso rarefatto, evocativo, elemento che entra in osmosi con la strutturazione di spazi, di luoghi già vissuti, a volte abbandonati, disabitati con tracce evidenti di qualcosa che è accaduto.

1995
Stampe Vintage (color print)
su carta Kodak
Formato 30x20 cm, 30x24 cm
Opere uniche originali, firmate e intitolate sul retro

Richiedi informazioni
©GG_#03_Geografia della memoria
Geografia della memoria #03
©GG_#04_Geografia della memoria
Geografia della memoria #04
©GG_#05_Geografia della memoria
Geografia della memoria #05
©GG_#06_Geografia della memoria
Geografia della memoria #06
©GG_Cinema arena_Geografia della memoria
Cinema arena

Anna D’Elia
dalla “gazzetta del mezzogiorno”
4 giugno, 1986

“Nei luoghi della catastrofe resta, tra le macerie, un frammento di vita che il tempo non ha cancellato, la polvere e l’abbandono non hanno distrutto. Su quelle tracce Giacomo Giannini ripercorre strazianti “geografie della memoria”. Il titolo della mostra (a Bari fino al 15 giugno da Bruno del Monaco, con la collaborazione del Diaframma Canon) allude alle storie racchiuse in ogni fotogramma, sintesi estrema di uno spazio e un tempo, presente solo nella dimensione del passato.
La catastrofe descritta da Giannini è il degrado urbano, attraverso i cui ruderi costruisce un itinerario alternativo e allucinante. Lo sguardo freddo, teso a definire un nuovo linguaggio di geometria spaziali e “texture materiche”, resta, più di una volta, irretito dal soggetto, restituendo visioni intense e allusive. Il percorso ha inizio da un campo di tennis, in periferia. Qui, il tempo trascorso è racchiuso in poche tracce, segni di un passaggio umano, un intreccio di casualità e casualità che apre la storia a mille interpretazioni. Seconda tappa è il cinema Arena, mentre lo sguardo avanza, pian piano, dai luoghi esterni verso gli interni, per affacciarsi, da uno squarcio nel muro, nelle intimità della casa, violentata, senza diaframmi – ormai – tra dentro e fuori, in un andirivieni di memorie.”
La sequenza impone, in chi guarda, un’analisi sul passato-presente, sui livelli di deperibilità degli spazi e degli oggetti, dell’habitat e dei valori. Non a caso, tutti i soggetti, sono databili, appartengono alla sfera di un consumo risalente agli anni Cinquanta-Sessanta. Basta così poco, nell’odierna accelerazione consumistica, nella voracità di beni compensativi alla mancanza di ideali, per sostituire la morte alla vita.

È questo uno dei significati possibili delle foto di Giannini, giovane autore anconitano, la cui ricerca comunica messaggi, senza retorica, con la lucidità di chi sa trovare nuovi modi di fotografare, nell’inflazionato terreno dell’immagine.”

©GG_Game over_Geografia della memoria
Game over
©GG_Home swet Home _Geografia della memoria
Home swet Home
©GG_Mediterranea_#02_Geografia della memoria
Mediterranea
©GG_Ultimo_Sguardo_Geografia della memoria
Ultimo sguardo
©GG_Verso Oriente_Geografia della memoria
Verso Oriente

Roberta Valtorta

Dal testo critico di introduzione alla mostra “Geografia della memoria” Galleria Camera Chiara, Milano, 1985.

“Buona parte del lavoro di Giacomo Giannini e la sua attenzione di fotografo più specifica sono riservate alle materie e agli spazi: meglio, agli spazi costruiti e alle strutture nel loro progressivo mutare all’azione del tempo. Spesso, nella storia della fotografia, lo studio degli spazi architettonici e lo studio delle materie si sono affiancati o alternati nella ricerca di uno stesso autore: questo corrisponde in senso globale ad un interesse verso il rapporto fra spazio e tempo, in senso più specifico (più tecnica mente “fotografico”) ad una tendenza a considerare gli stessi soggetti secondo una visione complessiva oppure ravvicinata. Inoltre, questo tipo di ricerche ha sempre rivelato un interesse spiccato ai modi in cui gli uomini, nel tempo, hanno agito sulla realtà e sulla fisicità dell’ambiente, via via modellandolo. Basti ricordare, a questo proposito e per quanto riguarda la situazione italiana, l’esempio significativo di Paolo Monti.
Il lavoro di Giannini si colloca a metà strada fra il rigore dell’analisi e il gusto, romantico, per la suggestione. In questo senso Giannini si avvale del colore, del quale fa un utilizzo puntuale e non decorativo: spesso rarefatto, evocativo, allusivo, questo elemento anziché “aggiungersi” entra in decisiva osmosi con lo strutturarsi degli spazi, li definisce e li determina, ne descrive la qualità. Questo senso del colore quasi poetico eppure controllato, non superficiale, costituisce un elemento di novità. È infatti cosa abbastanza rara, da parte di un fotografo, saper evitare il richiamo dell’effetto spettacolare del colore. Giannini sembra invece orientarsi verso una sorta di narratività misurata.
L’altro elemento determinante nel lavoro di Giannini è la scelta dei luoghi, che si muove verso spazi già vissuti, a volte addirittura abbandonati, a volte disabitati fabbriche, miniere, interni di fatiscenti architetture, oppure interni-esterni precari, in divenire, comunque recanti evidenti tracce di qualcosa di avvenuto, trascorso. Questo indica una ricerca condotta in modo indiretto sulla presenza dell’uomo nella realtà: l’uomo che fa la storia, vive, interviene nelle cose, sempre e comunque lasciando tracce evidenti del suo passaggio e della sua azione. Ciò che ormai ci siamo abituati a chiamare “segni”. Ma per un preciso insieme di elementi, i soggetti scelti da Giannini non diventano “decadenti”, di sola competenza del passato: sanno invece trattenere il passato restando presenti. In certi casi, proprio per questioni di luce (l’ora del giorno) e di conseguenza di colore, sembrano addirittura stranamente capaci, di collocarsi nel futuro. Domani. Dunque attuali, in un certo senso, se è vero, come è vero, che la nostra sensibilità ci rende, oggi, capaci di percepire il presente che viviamo come un particolare momento di passaggio da un’era, quella industriale, ad un’altra, quella elettronica. In questo senso, la precarietà degli spazi scelti da Giannini può apparire come la rappresentazione della nostra “attualità”.
Documenti di una civiltà alla stregua di reperti archeologici, contenitori di memoria a volte dolci, svagati, immagini di Giannini restano comunque basate su una ripresa fotografica rigorosa, semplice. Nemmeno eroica: non il grande formato che inchioda i dettagli della realtà in modo lucidissimo, ma quello piccolo, più elastico, meno perfetto, più “europeo”. Così come è possibile percepire, in queste fotografie, la relatività della durata delle cose, dovuta alla loro fisicità, è altrettanto rilevabile la precarietà, la soggettività della visione fotografica, che a sua volta cambia.”